Titolo: Alfa Romeo – Nel cuore e nella mente: una passione ruggente
Autore: Franco Vinci
Editore: Narrativa Aracne
Prezzo: euro 13,00
ISBN: 978-88-548-1399-1
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Il libro racconta in modo semiserio e molto spesso autoironico, le varie peripezie e vicissitudini che un appassionato di vetture Alfa Romeo viene chiamato ad affrontare giorno per giorno, perennemente a caccia di un esemplare da accaparrarsi e mettersi in garage anche a costo di imbarcarsi in avventure titaniche o in restauri improbi.
Quante volte abbiamo scherzato sui forum circa questo non ben precisato virus alfistico che ci prende e ci fa fare cose spesso al limite della comprensione umana. Del resto ultimamente è stato addirittura scomodato l’elogio alla follia di Erasmo da Rottherdam per spiegare e giustificare alcuni stati del nostro vivere. Vivere che talvolta presenta alcune ritualità, alcuni modi di pensare e di agire che ritroviamo identici in tutti coloro che sono portatori di questa strana e fortunatamente innocua follia. Questo libro può essere considerato a pieno titolo il manifesto di tutte le nostre perversioni. Sfido infatti chiunque a leggerne alcune pagine e a non immedesimarsi subito, riconoscendo spesso pensieri, fatti ed azioni che sovente hanno visto protagonisti noi stessi. Forse avrete capito che questo non è il solito libro sull’Alfa Romeo che snocciola dati, storici o tecnici sui modelli o sulle macchine, quanto piuttosto uno spaccato di vita di un appassionato, nel quale, credo, molti di noi si ritroveranno.
E’ per questo che consiglio vivamente le lettura di questo libro alle nostre compagne di vita, mogli, madri, compagne, figlie, che restano a volte sconcertate di fronte a certi nostri “comportamenti” che non esitano a giudicare stravaganti. Che serva a tranquillizzarle e a farle comprendere come questi nostri atti non sono in realtà segno di una pazzia incipiente, quanto piuttosto azioni ormai standardizzate ed omologate in un contesto che è quello della grande famiglia alfistica.
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La presentazione di Elvira Ruocco
E’ un dato di fatto che gli amanti delle vetture d'epoca stanno crescendo considerevolmente e questo non può che essere un fatto positivo. Personalmente ritengo che l'auto storica è una forma di cultura e il collezionismo vero un'espressione d'intelligenza perché conservare un'auto è come conservare un pezzo di storia.
Guidare un'automobile d'epoca ha qualcosa di avventuroso e d'immediato al tempo stesso. Per la maggior parte dei possessori dei veicoli d'epoca l'auto rappresenta più un oggetto di piacere che un investimento di capitale. Non importa che la loro preziosa vettura li porti in modo efficiente da un posto all'altro, per loro è essa la vera meta e la via, anche se spesso questa via è irta di ostacoli.
Per non parlare poi delle migliaia di ore di lavoro che questi "oggetti del desiderio" richiedono. Per mantenerli in efficienza occorre maggiore tolleranza e pazienza delle auto moderne nelle quali l'automobilista si trova non più a domare cavalli ma a gestire l'elettronica sempre più presente fino a ridurre l'importanza del conducente e la sua voglia di guidare.
C'è chi è appassionato di meccanica e quindi fa di tutto per conservare la sua vettura nel modo più efficiente e originale possibile; c'è chi cerca in una vettura quei limiti tecnici che consentono un vero divertimento nella guida e c'è chi esplica la sua passione attraverso ricerche storiche ed il collezionismo di riviste, depliants e pubblicazioni tecniche.
Non sono poi da sottovalutare l'impegno finanziario e la capacità di "soffrire" che l'autore ha così bene descritto in questo libro.
Un giorno un amico alfista mi mostrò con orgoglio le mani sporche di nero e mi disse: «Chi ama la propria auto la cura con le sue mani». Questo attaccamento emotivo è molto bello ma anche contagioso e lo sa bene chi cade vittima di questa passione, perché le auto d'epoca sono una malattia da cui non si guarisce, figuriamoci poi se si viene colpiti da quel «virus complesso e rarissimo che sembra si attenui soltanto con il possesso di un'Alfa Romeo».
Elvira Ruocco
L'autore
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Franco Vinci è un medico universitario con la grande passione dell’Alfa Romeo che lo ha accompagnato in quasi tutti i momenti migliori della sua vita ed è stata un filo conduttore continuo, solo apparentemente brevemente interrotto da alcune vicende e che oggi continua ad essere il suo momento di maggiore svago ed interesse in tutte le sue forme e manifestazioni. Ed è perciò che, invogliato anche da alcuni sinceri amici, ha deciso di rendere pubbliche le sue esperienze in campo alfistico in una sorta di racconto non solo autobiografico e semiserio (certo che alcune sue vicessitudini susciteranno spesso il sorriso ed anche il compatimento), ma anche tecnico; ciò spinto dal fatto che alcuni suoi consigli, pubblicati nel Web nei forum di alcuni Club alfistici (prevalentemente su quello del Duetto Club Italia), al di là di ogni aspettativa, sono stati presi tanto sul serio che da questi è stato ricavato un manualetto che molti hanno utilizzato ed utilizzano quale promemoria dei controlli da fare nel corso dell’acquisto di una vettura.
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Un estratto del libro
Capitolo 29
E fu di nuovo 1750
Passarono quasi due settimane e venne il momento del ritiro. Il dubbio era: portarla via con un carro attrezzi o in moto? Certo, non era pensabile di farle fare il viaggio nelle condizioni in cui si trovava, anche perché la marmitta era del tutto assente ed i freni funzionavano male.
Mi accordai perciò con un meccanico del posto, esperto in Alfa Romeo e consigliatissimo dal venditore, per fare qualche lavoro di base in modo che la macchina potesse viaggiare senza problemi.
Il giorno stabilito, con 15 minuti di anticipo sulla tabella di marcia, ero già sul posto. Il meccanico arrivò con un ottimo biglietto da visita: guidava un'Alfa 6 2.5 a carburatori che cantava come un usignolo!! Subito mi rassicurai. Collegata la strops al fuoristrada di mio figlio con quale ero andato a prenderla ed al braccio inferiore della sospensione della 1750 la portai finalmente alla luce. I freni per fortuna non erano inchiodati, anzi funzionavano normalmente, pur senza l'aiuto del servofreno.
300 metri ed eravamo già in officina. Scaricai dalla fuoristrada le marmitte e la minuteria che avevo portati e detti un'occhiatina migliore alla mia bella. Nel bagagliaio una bella sorpresa: una serie di tappeti in gomma praticamente nuovi!!! Le ruote erano senz'altro dell'epoca probabilmente di secondo equipaggiamento, dato che la ruota di scorta era una "Cavallino” mai usata!
Guarda qua, guarda là, non volevo interrompere quel momento magico, ma mia moglie mi richiamò duramente all'ordine: «ma non vedi che il meccanico aspetta che gli dica qualcosa???» Non l'avesse mai detto: lo subissai letteralmente di raccomandazioni, consigli, richieste (più o meno maniacali); ad un certo punto smisi perché avevo notato un lampo omicida negli occhi del poveretto; poi, gentilissimo ed avendo compreso la mia ansia, mi invitò a visitare l'officina ed ogni dubbio fu fugato: parti di Alfa serie 105, 115 e derivate dappertutto, un motore 2000 sul banco, fotografie molto interessanti alle pareti, insomma una rassicurante "clinica" come volevo io; mi dette il suo biglietto da visita: bé basta! L'immagine pubblicitaria era... una 1750 GT!!!!
Insomma me ne andai tranquillo, ringraziando il gentilissimo Giuseppe (il venditore) che mi aveva dato la massima collaborazione con una cordialità davvero fuori del comune.
Dopo una decina di giorni andai a ritirarla. La macchina era già pronta ed il meccanico aveva anche dato una lavatina veloce veloce. Sul piazzale una 2000 berlina ed un Duetto IV serie. Bene.
Mi misi subito al volante ed il motore si avviò subito con un rombo suadente e bellissimo. Sbrigai le formalità, pagai un prezzo davvero molto onesto e partii. Mi fermai subito dopo 100 metri per fare rifornimento (ero in profondo rosso) e notai che la frenata non mi piaceva affatto: lunga e con pedale “gommoso". I freni erano decisamente da rivedere (rettifica dischi e revisione pinze). Col procedere la frenata migliorò sensibilmente, in rapporto all'ossido asportato progressivamente dai dischi. Lasciai scaldare bene il motore e procedetti con cautela; le gomme facevano pena! Sfido, avevano trent'anni!!! La pressione dell'olio era troppo alta; la lancetta tendeva al massimo; sicuramente c'era da cambiare il transduttore (la strumentazione era di marca Jaeger). Il resto sembrava funzionare a dovere, a parte la spia dello starter che rimaneva accesa: cavo da registrare. Niente di preoccupante.
Dopo una decina di km fremevo dalla voglia di affondare un po', ma resistevo ancora perché volevo l'olio in temperatura. Intanto apprezzavo il cambio che era perfetto! Non una impuntatura, non una grattatina: i sincronizzatori sembravano nuovi. Benissimo. Cominciai ad accelerare un po', raggiunsi i 130 e mi prefissi di non superarli (con quelle gomme). Le sospensioni erano veramente a posto: filtravano molto bene le asperità dell'asfalto ed anche in curva non ebbi niente da dire; ad un certo punto saggiai un po' l'accelerata: mamma mia, che coppia, che respiro aveva quel motore. Alzai il finestrino e mi godetti il silenzio e l'isolamento che era veramente notevole; il sedile di guida era comodissimo, sembrava di stare in poltrona. Provai qualche sorpasso con scalatina in IV e rapida passata in V: una meraviglia, la macchina rispondeva benissimo, nessun accenno a picchiare, ero più che soddisfatto.
Intanto lo sguardo vagava qua e là su molti particolari che richiedevano cura ed attenzioni. La voglia di godermi la macchina subito era grande, ma così non poteva essere; non ero uscito da un concessionario e non ero nel 1971 come mi illudevo che fosse.
Arrivai felicemente a destinazione con un sorriso ebete stampato in faccia e andai subito a mettere la macchina sul ponte: che dire? Fondi perfetti, neanche un buchino; belle le mie testine nuove dello sterzo, poco olio qua e là; niente di speciale, normale "sudore". Notai invece una perdita da un paraolio della trasmissione a destra: questa sì che avrebbe dovuto essere eliminata.
Si fece tardi: mi telefonò mia moglie per sapere che fine avevo fatto: «eccomi, rispondo, sto parcheggiando nel box».
Mangiai un boccone, cercai di riposare, ma niente da fare: cuore e cervello erano lì; allora cedetti, uscii subito dopo aver parlato telefonicamente con alcuni amici che mi fecero gli auguri e mi dedicai ad un esame un po' più approfondito. Intanto non resistetti e misi subito i tappetini nuovi che erano nel bagagliaio; così l'abitacolo assunse all'istante un aspetto migliore.
Questi i risultati dell'esame: esclusa la possibilità di una lucidatina: la vernice era davvero in pessime condizioni, perché esito di una spruzzata fatta non proprio da un professionista, ed il parafango posteriore di destra mostrava qualche bollicina inaccettabile. Le guarnizioni raschiavetri erano completamente consunte, le maniglie presentavano qualche bella "fioritura" sotto la cromatura; un paio di fari avevano la parabola "out". Il ventilatore non funzionava; un paio di strumenti non si illuminavano ed altre cose di minore importanza.
Quello che vidi mi dispiacque moltissimo, perché non coincideva con lo stato generale della vettura che secondo me era molto buono; nulla a che fare con le condizioni originarie del CT, per esempio.
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