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Alfa Romeo Montreal
Cuore a 8 cilindri
Anno: 1970
di: Roberto Petrini    Pubblicato il 09/10/2010    (Letture 16213)

Nata come prototipo per l'Expo canadese del 1967, la coupé disegnata da Marcello Gandini per la Bertone diventa una splendida sportiva di serie solo nel '70. Una gestazione troppo lunga, che nuoce al suo successo commerciale.

Alfa Romeo Montreal
Cuore a 8 cilindri

Da semplice esercizio di bello stile ad auto reale, prodotta in piccola serie, ma destinata a lasciare un segno indelebile nel ricordo degli appassionati. È tutta qui la storia dell'Alfa Romeo Montreal, forse una delle coupé più belle della storia del Biscione, ma al tempo stesso una delle meno capite. Una vicenda bruciata in dieci anni, troppi dei quali passati tra l'ideazione e la produzione: tanto che, quando il modello è pronto per entrare nei listini della Casa milanese, ha già irrimediabilmente assunto il sapore di un déjà vu che non giova al suo destino commerciale.


Sotto sotto c'è la Giulia
I due prototipi aspprontati per l'Expo di Montreal del 1967: per ridurre i tempi di realizzazione, la Bertone impiega il pianale della Giulia Sprint GT e il motore della Giulia TI.

Ma andiamo con ordine, partendo dalle origini, che vedono l'Alfa Romeo impegnata, insieme alla carrozzeria Bertone, a onorare la richiesta degli organizzatori dell'Esposizione Universale di Montréal del 1967 (anno del centenario della confederazione canadese) di realizzare un esempio del miglior stile automobilistico. Un motivo d'orgoglio tutto italiano, naturalmente, perché l'Expo non era e non è il solito salone internazionale dell'auto: è una sorta di "showcase" planetario di quanto il meglio dell'ingegno umano riesca a offrire in un certo momento storico, nei più diversi campi di applicazione. La sfida, dunque, viene affrontata con il dovuto rispetto, nonostante i tempi turbolenti: siamo nella seconda metà degli anni Sessanta, un momento di grande fervore creativo che interessa tutti i settori, dalla musica alla moda, dal design alla scienza. Ma anche un periodo di tensioni sociali e di scontri di piazza che iniziano a sconvolgere le città di tutto il mondo. Alla Bertone si mette all'opera un giovane designer, capace di creare alcune delle auto più belle di tutti i tempi: Marcello Gandini, alla cui matita si devono capolavori come la Lamborghini Miura. "Nell'agosto del 1966", racconta Gandini nella monografia dedicata da Luigi Giuliani alla coupé milanese "Alfa Romeo Montreal", Giorgio Nada Editore, 1992), "vennero eseguiti i primi disegni della nuova vettura, sotto forma di figurini in scala ridotta. Lo studio era basato su una possibile meccanica Alfa Romeo di schema classico, motore anteriore e trazione posteriore. Si trattava di un coupé due posti basso e molto largo per l'epoca (1780 mm). Poteva essere, in chiave più sportiva, una risposta Alfa al nascituro Fiat Dino Coupé".
Ecco già individuati alcuni elementi chiave delle scelte progettuali: non una dream car concepita solo per l'occasione canadese, né una supersportiva estrema con motore centrale del genere della Miura, ma una proposta plausibile per una produzione di serie capace di rinverdire i fasti delle sportive dei Portello attingendo a basi meccaniche esistenti. Gandini, nel volume di Giuliani, continua a ricordare: "Nell'autunno dello stesso anno fu realizzato il modello a grandezza naturale e subito furono impostati due prototipi identici... La vettura era molto attraente, compendiava in qualche modo le esperienze maturate con la Lamborghini Miura e, in parte, con la Canguro". Quest'ultimo è un prototipo della stessa Bertone, presentato al Salone di Torino del 1964 e realizzato sulla base meccanica dell'Alfa TZ1 di Zagato, con telaio a traliccio di tubi e motore 4 cilindri 1600.
Per l'Expo canadese vengono allestiti due esemplari, entrambi di colore bianco perlato; la spedizione oltre oceano avviene con un cargo aereo, mentre l'allestimento del padiglione espositivo (che resta aperto sei mesi) prevede un sistema di specchi che replicano all'infinito l'immagine delle due vetture. Una premonizione di quella che potrà essere la produzione di serie? Molti se lo augurano perché il lavoro di Gandini, sin dalle prime impressioni, suscita emozioni. La coupé siglata Bertone vanta una rara pulizia formale, che la rende elegante e aggressiva al tempo stesso. Alcuni elementi rimandano al linguaggio stilistico già espresso dal designer nella Miura, ma s'intravede ugualmente una personalità diversa, più legata al marchio Alfa Romeo. Il pianale, non essendoci tempo sufficiente per una progettazione ex novo, è quello della Giulia Sprint GT, mentre il motore dei due prototipi arriva dalla Giulia TI: parentele difficili da sospettare, se ci si ferma allo stile della vettura, che fa pensare a soluzioni meccaniche inedite. Colpa, forse, della fiancata slanciata, caratterizzata da una scalfittura centrale, dalla forte inclinazione dei montanti del parabrezza e dall'andamento verso l'alto della parte posteriore della portiera e del cristallo laterale; oppure del frontale, basso e accattivante, coi proiettori parzialmente coperti da una griglia che non ne altera l'efficienza. La coda, invece, è di più facile lettura, tronca come quella della Miura, con fari a sviluppo orizzontale e un grande lunotto che, sollevandosi, consente di accedere al vano bagagli.
Inevitabile che, a Montreal e in tutto il mondo, la vettura piaccia: la stampa esprime commenti lusinghieri, tanto da indurre l'Alfa Romeo a rilasciare dichiarazioni possibiliste sull'eventualità della produzione in serie dei prototipi.

Dalla concept alla strada

Un prototipo camuffato della futura Montreal di serie sorpreso dai fotografi di "Quattroruote": la linea è quasi irriconoscibile.

Una volta deciso di trarre dall'esercizio di stile di Bertone un modello da inserire nei listini commerciali, si apre il problema di dotarlo di componenti meccaniche all'altezza delle aspettative suscitate dal riuscito design: le basi utilizzate per i prototipi appaiono, infatti, subito inadeguate. Nel volume di Giuliani (op. cit.), Giuseppe Busso, importante progettista dell'Alfa intervistato dall'autore, racconta: "Quando la Bertone ci presentò il progetto della nuova vettura, sviluppato autonomamente a Torino, constatammo subito le sue ragguardevoli dimensioni. La carrozzeria parve inadeguata alla tradizionale meccanica Alfa a 4 cilindri, anche se portata a 2 litri e potenziata dalla doppia accensione, com'era nelle previsioni". Serviva dunque qualcosa di più corposo, da pescare nelle disponibilità della Casa, vista l'impossibilità di progettare una meccanica ad hoc per immaginabili questioni di costi. Secondo Giuliani, è lo stesso Busso a trovare una soluzione, proponendo alla direzione tecnica dell'Alfa l'impiego di un 8 cilindri a V derivato da quello della 33. Quest'ultima è una vettura da corsa nata alla fine del 1965 e portata al debutto agonistico nella primavera del 67, per poi competere nel Campionato internazionale Marche dell'anno successivo. Nel suo leggero telaio tubolare viene installato posteriormente, in blocco con cambio e differenziale, un 8 cilindri a V di 900 con monoblocco e testa di lega leggera, due alberi a camme in testa per bancata e due candele per cilindro; con una cilindrata di 1995 CM3 , questo propulsore eroga 270 CV (che diventeranno 315 nella successiva versione da 2.5 litri del '68). Busso racconta anche che la proposta di adattare questa unità a un uso stradale viene accettata dai vertici dell'Alfa "soprattutto per evitare la realizzazione di una vettura sicuramente sottopotenziata, adatta solo per le esposizioni e non per un seguito commerciale nella migliore tradizione sportiva Alfa".


Dettagli che fanno la differenza
La Montreal debutta in veste definitiva al salone di Gonevra del 1970: rispetto ai prototipi "canadesi", la linea risulta appesantita dal vistoso rigonfiamento del cofano anteriore

La trasformazione, però, richiede tempo e lavoro: non si può pensare d'installare semplicemente un'unità nata per le corse sotto il cofano di una vettura stradale e d'iniziare a venderla. In un primo tempo viene adottato un 4 cilindri 2 litri, utile per i collaudi di componenti come freni e sospensioni; intanto si lavora sull'8 cilindri, con l'intento di addomesticarlo e renderlo più affidabile. Poi s'interviene sulla linea, che finisce per essere modificata anche per ragioni tecniche: la vettura definitiva è un po' più alta, mentre il cofano ospita un rigonfiamento centrale, ornato con una (finta) presa d'aria del tipo Naca (dalla sigla dell'ente americano che la codifica), necessaria per far spazio all'ingombro della parte superiore dell'8 cilindri, dominata da un grande filtro dell'aria. Tra le altre differenze coi prototipi "canadesi" spiccano il frontale un po' meno inclinato (ma sempre dominato dall'originale grigliatura dei fari), il paraurti più grande, la coda più alta e massiccia. Lateralmente compaiono un profilo in inox che corre lungo la fiancata e passaruota allargati, necessari per ospitare pneumatici più generosi; cambia anche il disegno delle ruote, che diventa un po' meno originale.
Il risultato d'insieme, presentato al Salone di Ginevra del 1970, ne risente negativamente: i tre anni trascorsi dai prototipi iniziali fanno sentire nettamente il loro peso e la Montreal, come viene battezzata la vettura in onore delle sue origini, appare meno innovativa. Quello che prima sembrava un miracolo di stile italiano, ora appare un po' più banale: il tempo, nel design automobilistico, non è trascorso invano, altre proposte suggeriscono nuovi paradigmi di modernità.


Il posto di guida
Il posto di guida della Montreal con il tipico volante a calice e la strumentazione racchiusa in due elementi circolari.

La Montreal, comunque, va in produzione presso lo stabilimento di Caselle (Torino) della Bertone, al quale l'Alfa invia i componenti principali; terminato l'assemblaggio, le scocche vengono portate in un altro impianto della Bertone, a Grugliasco, per i trattamenti anticorrosione e la verniciatura, seguiti dall'installazione della selleria e dei particolari dell'abitacolo. Infine, le vetture raggiungono la fabbrica dell'Alfa romeo di Arese, dove vengono completate della parte meccanica.


Nel 1971 vengono prodotti in questo modo 668 esemplari: il prezzo iniziale è di 5.200.000 lire, di poco inferiore a quello della Porsche 911 S (5.300.000 lire) e della Jaguar E Type (5.350.000 lire), entrambe concorrenti agguerrite.




Palpebra che affascina
Il frontale conserva le palpebre dei fari che caratterizzavano i prototipi: la presa d'aria tipo Naca sul cofano è però finta.

Scarsa evoluzione

La coupé Alfa si scontra con la crisi e con il clima ostile alle supercar

La sportiva Alfa resta in produzione dal '71 al '77, per un totale di 3925 esemplari; l'anno più significativo, però, è il '72, con 2377 unità. Poi, è un lento declino: nel '73 ne vengono fabbricate 302, nel '74 205, nel '76 solamente 23. Il clima è mutato: dai tempi dell'Expo di Montreal ci sono stati il '68, la contestazione giovanile, l'esplosione del terrorismo mediorientale, la guerra arabo-israeliana del '73, la crisi petrolifera dell'inverno 73-74 con l'austerity e le domeniche a piedi per gli italiani.
Il mondo, percorso da inquietudini politiche e sociali, non è certo favorevole alle supercar, dai motori assetati di petrolio; le tensioni nelle fabbriche e nelle piazze inducono anche i più abbienti a evitare di acquistare auto costose e vistose.
L'evoluzione della Montreal nel corso degli anni è molto limitata: la Casa si accontenta di aggiungere uno spoiler anteriore di plastica, per ridurre la portanza dell'avantreno alle alte velocità, e di modificare dettagli, come gli appoggiatesta, dotati di una manopola di regolazione, o particolari tecnici, come l'impianto di lubrificazione. Nel '73 altri interventi riguardano la meccanica (motore, trasmissione, freni) e parte della scocca. Nel gennaio '76, la Montreal esce dai listini: complice l'inflazione, il suo prezzo è più che raddoppiato e supera gli 11.500.000 lire, contro i poco più di 10 richiesti dalla BMW per una 3.0 CSi. Il destino della bella coupé Alfa, dunque, è ormai segnato.

La tecnica

L'impostazione è tradizionale, con motore anteriore e trazione posteriore. Ma il "pezzo forte" è l'8 cilindri, derivato dalla 33 da corsa.

Dal punto di vista tecnico, la Montreal non presenta innovazioni eclatanti: la meccanica, infatti, segue l'impostazione tipica delle Alfa Romeo di quel periodo, in particolare lo schema che prevede, come sulla 1750 e sulla 2000, sospensioni anteriori a ruote indipendenti e ponte posteriore rigido (una soluzione, come vedremo, non del tutto all'altezza delle ambizioni della vettura). Per questo vale la pena concentrarsi sul "pezzo" pregiato della coupé milanese, ovvero l'8 cilindri a V (di 90°) di derivazione corsaiola. L'origine di questo propulsore, come abbiamo visto, è agonistica: installato nella 33 Sport Prototipo, ha una cilindrata iniziale di 2 litri, che viene portata a 2593 CM3 con l'aumento dell'alesaggio da 78 a 80 mm e della corsa da 52,2 a 64,5 mm. Invariate restano, invece, altre caratteristiche che denotano la raffinatezza di questa unità, a partire dalla distribuzione con quattro alberi a camme in testa comandati da catena; le camere di scoppio, emisferiche, hanno una candela al centro. Il basamento è di lega leggera, con canne dei cilindri in ghisa; l'albero motore, di acciaio stampato, è dotato di cinque supporti e di contrappesi realizzati in lega di tungsteno sinterizzato. Anche per le bielle si fa uso di un materiale particolare, l'acciaio al tungsteno, sulla falsariga di quanto avviene nelle competizioni. L'alimentazione è assicurata da un impianto a iniezione diretta della Spica, azienda livornese del gruppo Alfa Romeo; la lubrificazione prevede il carter secco, con serbatoio dell'olio, pompa di mandata e radiatore per il raffreddamento. L'accensione è del tipo elettronico a scarica capacitiva, con centralina della Bosch.
Così strutturato, l'8 cilindri Alfa garantisce prestazioni di rilievo: la potenza è di 200 CV DIN a 6500 giri/min, con una coppia massima di 27,5 kgm (SAE) a 4750 giri/min. Valori che permettono alla sportiva milanese di sfiorare i 220 km/h di velocità massima.

La scheda



della Montreal (1970)
Motore
Tipo: 00564 - Sistemazione: anteriore longitudinale - Cilindri: 8 a V di 900 - Cilindrata: 2593 cm' - Alesaggio x corsa: 80x64,50 mm - Rapporto di compressione: 9:1 - Potenza: 200 CV DIN a 6500 giri/min - Coppia massima: 27,5 kgm (SAE) a 4750 giri/min - Distribuzione: valvole a V in testa, due alberi a camffie in testa per bancata, catena - Accensione: elettronica - Raffreddamento: a liquido Alimentazione: iniezione meccanica multipoint Spica - Lubrificazione: forzata a carter secco con radiatore olio
Trasmissione
Trazione: posteriore Frizione: monodisco a secco - Cambio: meccanico a 5 marce + R.M., comando a leva centrale -
Sospensioni
Anteriori: ruote indipendenti, bracci trasversali e bielle oblique, molle elicoidali e barra di torsione longitudinale, barra stabilizzatrice, ammortizzatori idraulici telescopici - Posteriori: assale rigido, bracci longitudinali, stabilizzatore a T, molle elicoidali, ammortizzatori idraulici telescopici -
Freni
impianto idraulico, quattro dischi autoventilanti, servofreno
Altre caratteristiche
Corpo vettura: scocca portante in acciaio - Sterzo: a circolazione di sfere; diametro di sterzata 10,2 m - Ruote: in lega leggera Pneumatici: 195/70 VR 14
Dimensioni
Lunghezza: 4,22 m Larghezza: 1,672 - Altezza: 1,205 m Passo: 2,35 m - Carreggiate: ant. 1,372 m, post. 1,34 m Peso in ordine di marcia: 1330 kg
Prestazioni dichiarate dalla Casa
Velocità massima: 219 km/h Consumo medio: 13,7 1/100 km
Prezzo (1970): 5.200.000 lire

L'8 cilindri viene montato in posizione anteriore longitudinale ed è abbinato a un cambio a 5 marce, tutte sincronizzate, installato in blocco col propulsore stesso; la trazione è posteriore, così come il differenziale, autobloccante al 25%. Il moto viene trasmesso alle ruote posteriori mediante un albero realizzato con due tronchi di acciaio, collegati da un giunto di gomma.
Lo schema delle sospensioni, come già accennato, prevede all'avantreno ruote indipendenti, trapezi, molle elicoidali e barra antirollio; il retrotreno, invece, è ad assale rigido, con bracci longitudinali, stabilizzatore a T e barra antirollio; tutti gli ammortizzatori sono idraulici telescopici. L'impianto frenante prevede quattro dischi autoventilanti, circuito idraulico e servofreno a depressione; lo sterzo è del tipo a circolazione di sfere, mentre le ruote, di lega leggera, vengono prodotte dalla Campagnolo con un raffinato sistema di fusione a bassa pressione. Il diametro dei cerchi è di 14", per una misura dei pneumatici generosa per l'epoca (195/70 VIR 14); i clienti potevano scegliere tra i radiali Michelin e quelli della Continental.
Il motore è volutamente "tranquillo" ed elastico: volendo, avrebbe potuto erogare 50-60 CV in più!


Il motore è volutamente tranquillo ed elastico
La sezione trasversale del V8 Alfa rivela i 4 alberi a camme in testa, comandati da catena; le camere di scoppio emisferiche hanno la candela al centro di ogni cilindro. La cilindrata unitaria è di 324,2 cm3, la velocità media dello stantuffo è di 13,9 m/sec a 6500 giri/min.

Tutte queste scelte tecniche, dettate da esigenze industriali e commerciali, lasciano spazio a qualche rimpianto. Li sintetizza il progettista Giuseppe Busso nel volume di Luigi Giuliani (op. cit.): "Riuscimmo a creare una vettura discreta, ma non il massimo dal punto di vista tecnico", racconta; "Avremmo equipaggiato volentieri la Montreal con sospensioni posteriori indipendenti o con il ponte De Dion. Ciò non fu possibile per mancanza di tempo e di denaro".


L'Alfa si stava infatti concentrando su un altro modello sportivo, destinato a una fascia di mercato più abbordabile: la GT, derivata dalla berlina Alfetta lanciata nel '72. Della Montreal resta, però, un motore fantastico, "reso", secondo Busso, "volutamente tranquillo ed elastico", mentre "avrebbe potuto erogare con facilità altri 50-60 CV". Così facendo, tuttavia, sarebbe stata una vettura più estrema, non una gran turismo adatta anche ai lunghi viaggi, come avrebbe dimostrato in quegli anni "Quattroruote" con un lungo raid attraverso tutta l'Europa.

La Montreal per Quattroruote

Critica nei confronti dello stile, "plaude al gran motore della coupé alle prestazioni, definite eccellenti.

Se la prende un po' comoda, "Quattroruote", prima di pubblicare la prova su strada dell'Alfa Romeo Montreal. Se la coupé del Biscione viene presentata, nella sua veste quasi definitiva, al Salone di Ginevra della primavera del 1970, il mensile aspetta l'agosto 1972 per dedicare un congruo numero di pagine a un suo test completo. I motivi sono presto detti: il 1972, di fatto, è l'anno in cui la Montreal inizia a essere prodotta in un numero significativo di esemplari, oltre 2000 contro le poche centinaia dell'anno precedente; poi, "Quattroruote" dà la precedenza a vetture destinate a un pubblico ben più vasto, utilitarie popolari come la Fiat 127, nata in quegli anni, piuttosto che a una sportiva inevitabilmente di nicchia.
In ogni caso, quand'è il momento, la rivista non lesina il numero di pagine destinate alla Montreal, sottoposta, com'è abitudine, a una serie di verifiche approfondite. I giudizi iniziano dall'estetica e sono piuttosto severi: ai giornalisti del mensile, la coupé Alfa non piace. Troppo tempo è passato dalla presentazione della concept, avvenuta nel '67; è vero che la disposizione dei volumi è ancora "complessivamente ottima" e che lateralmente la vettura, appare slanciata e ostenta una notevole grinta sportiva", ma è anche vero che "nel resto è un po' troppo carica". Le modifiche introdotte rispetto ai prototipi, rese necessarie anche dalla meccanica differente adottata per la versione definitiva, ne hanno appesantito il design: la calandra è "molto elaborata" e dominata da un "pesante scudetto Alfa", le palpebre che coprono i fari sono "stilisticamente molto criticabili", "al centro dello spazioso cofano anteriore c'è una grande presa d'aria Naca (finta) che non giova certo all'estetica". Insomma, la Montreal è una sportiva vistosa, cosa che però può non dispiacere a un certo tipo di pubblico che ama non passare inosservato: a questo contribuisce anche una gamma di colori non particolarmente discreti, come l'arancio, il verde, l'oro metallizzati. Alla fine, come sempre, è una questione, molto soggettiva, di gusti.


Tra i birilli sulla strada
La Montreal impegnata nella prova di slalom di "Quattroruote": come si vede le condizioni in cui si svolgono i test non sono propriamente ottimali per la sicurezza dei collaudatori

Il comportamento è sempre sicuro, però il rollio del corpo vettura è eccessivo per una sportiva Veniamo ora all'interno: pur non essendo piccola (è lunga 4,22 e larga 1,67 metri), la Montreal è un'auto per due. Dietro, infatti, ci stanno al massimo due bambini, perché un adulto, anche messo di traverso, rischia di toccare con la testa il lunotto. In compenso i due posti anteriori sono ben fatti, soprattutto per i guidatori di bassa e media statura, visto che i più alti toccano con le gambe la corona del grande volante. Buona la posizione della leva dei cambio, un po' meno quella della pedaliera, troppo alta; quanto alla plancia, ha un disegno complicato e poco funzionale, anche se i comandi più importanti sono tutti facili da raggiungere dal posto guida. Sulla consolle centrale sono raggruppati sei pulsanti che azionano tergicristallo, trombe, vetri elettrici (optional da 100.000 lire), illuminazione dell'interno e della strumentazione.
La plancia è dotata di pratici ripostigli, dove stivare piccoli oggetti; attenzione, però, a quelli privi di chiusura, perché alla prima forte accelerazione si rischia di trovare l'abitacolo pericolosamente pieno di cose vaganti...


La prova di frenata
rivela spazi di arresto contenuti e la mancanza di pericolosi fenomeni di bloccaggio; solo nell'uso intenso emergono segni di affaticamento.

Il giudizio di "Quattroruote" è positivo anche per la strumentazione, raccolta in due grandi elementi circolari, tipici dell'Alfa Romeo, posti di fronte al guidatore: uno è dedicato al tachimetro e comprende anche contachilometri, indicatore livello carburante, orologio, amperometro e diverse spie; l'altro è dominato dal contagiri, accompagnato da manometro e termometro dell'olio, termometro dell'acqua e altre spie.
C'è tutto, dunque, ma la consultazione, vista la posizione e le dimensioni, alle alte velocità non è facilissima. Al guidatore è anche richiesto qualche sforzo supplementare in termini di visibilità, penalizzata dai grossi montanti dei padiglione e dalla forma della coda. E' a proposito della parte posteriore, il vano bagagli, anche a causa della presenza della grossa ruota di scorta, ha una capienza limitata: 160 dM3 non sono molti, tanto che spesso conviene utilizzare i sedili posteriori per riporvi altri oggetti. L'accesso al bagagliaio, ben rivestito, avviene attraverso il grande lunotto posteriore: è facile, ma si è costretti a sollevare i pesi per superare una soglia di accesso piuttosto alta. Quanto alle finiture, il giudizio di "Quattroruote" è complessivamente positivo, anche se qualche particolare, a causa della produzione quasi artigianale in piccola serie, non risulta all'altezza della meccanica e dei prezzo della vettura. Per fortuna, la dotazione di accessori è valida: la Montreal viene consegnata completa di appoggiatesta, lunotto termico, ruote di lega leggera e altro ancora. La lista degli optional si limita agli alzacristalli elettrici, all'epoca ancora una rarità, alla verniciatura metallizzata (140.000 lire) e al condizionatore d'aria (290.000 lire); un accessorio prezioso, perché d'estate la ventilazione interna, nonostante la presenza di otto bocchette, non è delle migliori.

Un gran motore


Terminata l'analisi statica, è giunto il momento di capire come va veramente la Montreal su strada. Fin dalle prime parole si capisce che, per "Quattroruote", la coupé disegnata da Bertone vanta soprattutto un gran motore. Derivato da quello della 33 da competizione, l'8 V di 2,6 litri è un'unità sofisticata che non delude le aspettative: i giornalisti del mensile lo giudicano "pronto e potente a ogni regime" e dotato di "un'eccezionale coppia motrice" che consente di "andare con facilità anche in quinta marcia a bassa velocità". Un propulsore che "Quattroruote" vorrebbe venisse montato anche su una berlina di rappresentanza, perché un'auto simile "avrebbe poche rivali nel mercato delle 3 litri europee".
Con queste premesse, le prestazioni non possono essere che eccellenti: la velocità massima, 224,076 km/h, risulta persino superiore a quella dichiarata dalla Casa (220 km/h) e può essere mantenuta con facilità anche nei lunghi tragitti autostradali. Accelerazione e ripresa meritano entrambe un "ottimo" in pagella; anche i consumi sono accettabili, per lo meno alle basse e medie andature. Se si sfruttano tutte le doti del V8, naturalmente, crescono, ma a 140 km/h si fanno ancora quasi 7 km con un litro, dato accettabile considerando la tipologia di vettura.


Veniamo ora alla guida vera e propria. Cambio e frizione, sollecitati a fondo, rispondono bene: lo ZF adottato dall'Alfa ha innesti corti e veloci, con qualche impuntamento solo per la prima, mentre la frizione (monodisco a secco) non richiede sforzi eccessivi sul pedale. Buona la frenata assicurata dai quattro dischi, senza bloccaggi anche nelle situazioni di emergenza; peccato che nell'uso intenso si registrino segni di affaticamento. Lo sterzo è leggero in manovra, nonostante le dimensioni generose delle ruote, pronto e diretto col crescere dell'andatura. La voce "confort" merita un giudizio positivo, tenuto conto della sportività di questo modello: naturalmente si avverte una certa rigidità delle sospensioni, contenuta però in limiti più che accettabili. Soltanto i fondi sconnessi possono infastidire, a causa degli scuotimenti eccessivi del ponte rigido posteriore; in compenso la rumorosità del motore è accettabile anche alle massime velocità.
Il capitolo più interessante, a questo punto, è quello relativo alla tenuta di strada: per questa voce la Montreal riceve un "ottimo" in pagella. La coupé dell'Alfa ha un comportamento facile, alla portata anche dei guidatori meno esperti: le curve più veloci si possono affrontare in tutta sicurezza". Netta la prevalenza del sottosterzo (cioè la tendenza a puntare verso l'esterno) quando si entra in curva; se si esagera con la velocità, però, bisogna lasciare il pedale del gas, accennare ad un lieve controsterzo e quindi dare gas per rimettersi facilmente sulla traiettoria ideale", aiutandosi con l'ottima coppia motrice del motore e con l'efficacia del differenziale autobloccante. Peccato solo per il rollio del corpo vettura, giudicato eccessivo per il tipo di auto. Alla fine, comunque, la Montreal viene promossa a voti quasi pieni, in virtù delle "qualità del motore e per la facilità di guida", doti confermate da rilevazioni strumentali tra le migliori mai registrate dal Centro prove della rivista.

Un test eccezionale


Un'auto particolare come la Montreal, però, merita qualcosa di più della solita prova su strada. E la redazione di "Quattroruote" decide di saggiarne le qualità anche con un test fuori dal comune, pubblicato nel mese di luglio dei 1972, prima ancora della prova tradizionale. Si tratta di un raid che attraversa l'Europa da Sud a Nord, da Reggio Calabria a Lubecca, punta settentrionale della Germania: 2574 km da percorrere tutti d'un fiato, senza tappe intermedie, sfruttando i 200 CV di potenza in un'epoca in cui non si parla ancora di autovelox, Tutor e limiti di velocità. Nel '72, del resto, i viaggi aerei non sono ancora così diffusi come oggi, le tariffe sono alte e le compagnie low cost ancora inimmaginabili; in più, una gran turismo come la Montreal permette a due persone di spostarsi ad andature molto elevate pur mantenendo un livello di confort accettabile. Il percorso scelto da "Quattroruote" segue una linea quasi retta che attraversa l'Italia, entra in Austria al confine del Brennero e approda poi in Germania, passando da Monaco, Norimberga, Góttingen per arrivare infine sulle rive del Baltico. L'equipaggio impiega meno di 21 ore per completare il viaggio: e questo tempo tiene conto anche delle inevitabili soste dovute a caselli, formalità alle frontiere (non certo "aperte" come quelle odierne), rifornimenti e spuntini, necessari alla sopravvivenza dei due occupanti. La velocità media, alla fine, risulta alta, 140 km/h; il consumo è di 17,8 litri per 100 km, accettabili viste le prestazioni richieste alla vettura.


Il diario di bordo registra una prima parte tutta autostradale, nel Mezzogiorno d'Italia, percorsa rapidamente, nonostante il tracciato della Salerno-Reggio Calabria sia stato completato solo in parte; nelle zone di Napoli e Roma il traffico s'intensifica, a causa della presenza di molti camion che non permettono all'equipaggio di continuare a viaggiare sul filo dei 200 km/h, com'è stato fatto fino a quel momento. La Bologna-Firenze esalta, invece, le doti di tenuta di strada della Montreal, capace di affrontare i curvoni veloci a 160 km/h senza fare una piega (altri tempi ... ); tra Bologna e Padova c'è in pratica un lungo rettilineo che permette di sfruttare a fondo l'8 cilindri Alfa Romeo. Si perde tempo, invece, da Bolzano a Chiusa, un tratto di una trentina di chilometri dove l'autostrada dei Brennero non è ancora stata completata e il traffico di mezzi pesanti abbassa la media oraria della vettura. Passata l'Austria e l'allora modernissimo "ponte Europa", si entra in Germania, Paese all'epoca dotato di una delle reti autostradali più estese d'Europa (5000 km); lunghi rettilinei si alternano con curvoni veloci, affrontati a 180 km/h.


Ieri come oggi in Germania non c'è un unico limite di velocità, ma solo indicazioni locali, nei punti più pericolosi, che vanno rispettate scrupolosamente. A rallentare l'andatura ci si mette la pioggia, ma la Montreal, grazie al differenziale autobloccante, rivela un comportamento sicuro anche sul bagnato. Alla fine Travemunde, il porto sul Baltico di Lubecca, accoglie l'equipaggio protagonista del raid: è bastato meno di un giorno per attraversare tutta l'Europa da Sud a Nord.
Tutta l'europa da Sud a Nord in 21 ore: un bel record, a 140 km/h di media...


   

































            

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